Dall’antichità una lezione contro il razzismo
Gli studi umanistici hanno ancora un senso? È utile studiare ancora i classici greci e latini? Queste sono due domande che tornano spesso nel dibattito culturale contemporaneo. Maurizio Bettini affronta questi temi in un recente articolo comparso sul quotidiano francese Le Monde, in cui viene ricordata anche la sua collaborazione all’Antichità a cura di Umberto Eco, pubblicata da Federico Motta Editore. La risposta alle due domande iniziali è complessa, ma è innegabile che il confronto con i classici ha molto da dire su di noi e sui problemi della nostra società. Ed è in grado di fornirci anticorpi contro la diffusione del razzismo.
Conoscere l’antichità per contrastare il razzismo
Maurizio Bettini ha scritto l’introduzione alla sezione Mito e religione nel volume dedicato a Roma dell’Antichità di Federico Motta Editore. Lo studio dell’antropologia del mondo classico offre spunti di riflessione sui temi dell’integrazione e della lotta al razzismo. Gli antichi romani erano infatti estremamente tolleranti in fatto di religione, e il loro sistema era aperto ad accogliere nel proprio pantheon anche divinità straniere.
Politeismo romano e dèi stranieri
La religione romana era infatti caratterizzata dal sincretismo e da un atteggiamento di accoglienza nei confronti degli altri popoli e delle loro divinità. Ne parla Micol Perfigli nel saggio “Politeismo e religione” sull’Antichità di Federico Motta Editore. Le divinità degli antichi Romani rispondevano ciascuno a una particolare sfera della vita e della natura. Varrone, nelle Antiquitates rerum divinarum, distingueva tra dèi certi (legati agli aspetti particolari della vita), incerti (divinità collettive, dai poteri più ampi rispetti ai certi) e selecti (legati al “macrocosmo”: il cielo, la terra, il mondo in generale).
La religione romana era una religione dell’interpretazione, che assegnava agli dèi compiti precisi nella comunità. Questo creava un sistema flessibile capace di integrare anche divinità straniere.
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